ITALIA: Riordino Province

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ITALIA: Riordino Province

Dopo la deliberazione del governo Monti sui parametri per la soppressione e/o il mantenimento delle province viene riscritta la geografia dell’Italia così come l’abbiamo conosciuta a scuola: rimangono in vita circa la metà delle province esistenti comprese le città metropolitane.taglio_province_italiane

 

Un provvedimento di così vasta portata come quello delineato dall’art. 17 del DL n. 95, con l’accorpamento e la razionalizzazione delle province e la ridefinizione delle funzioni fondamentali, che si configura come una effettiva operazione di riordino istituzionale, non dovrebbe essere demandata ad un D.L. come quello in esame, che ha come finalità esplicita il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, imposti degli obblighi europeprovince italianei, e l’urgenza di una rapida approvazione per contrastare i quotidiani attacchi speculativi a cui è soggetto il nostro paese.

La norma ci consegna inoltre una tempistica inaccettabile che nel volgere di poche settimane, e senza il necessario coinvolgimento dei territori, come previsto dall’art. 133 della Costituzione, ci dovrebbe condurre ad un razionale ed equilibrato riassetto dell’ente locale di secondo livello, come la delicatezza della materia richiederebbe.
Il coinvolgimento dei Consigli delle autonomie locali, dove istituiti, o dell’organismo di raccordo tra regione ed enti locali, con solo 20 o 40 giorni disponibili per assolvere al compito di una meditata definizione delle nuove circoscrizioni provinciali, appare più come un maldestro tentativo di adempiere a quanto previsto dall’art. 133 della Costituzione, che come la volontà del legislatore di far partecipare i comuni alla definizione delle nuove province.

I due parametri da considerare per l’accorpamento/soppressione delle provincie sono stati individuati nella superficie 2.500 Km, e la popolazione minima per il mantenimento dell’ente in 350.000 abitanti, nulla a che vedere con la razionale considerazione dei bacini ottimali per l’esercizio delle funzioni assegnate.
L’aver poi ridotto il numero delle funzioni fondamentali svuota completamente di senso l’istituzione provincia, rendendola un ente residuale della Repubblica.
L’ampio confronto che si è svolto in sede parlamentare soprattutto nel percorso connesso al disegno di legge denominato “Carta delle autonomie”, sulle funzioni da attribuire all’ente locale di area vasta, e sulla individuazione degli ambiti territoriali ottimali, avrebbero dovuto indurre il legislatore a dare più sostanza alle funzioni di ambito provinciale includendo almeno tutte quelle previste nell’elenco contenuto dell’art. 21 della L. 42 del 2009.
Il disegno di razionalizzazione delle competenze delle province concepito dalle norme in esame, come osservano i tecnici del Senato nel dossier preparato per il Decreto legge, presenta per adesso dei risparmi tutti da quantificare, e comunque non rilevanti in relazione all’impatto che questo intervento di riorganizzazione può generare sul sistema istituzionale locale, con rilevanti ricadute economiche e sociali nel territorio. Di contro, come avvenuto in altri casi simili, potrebbe generare profili onerosi di tipo straordinario in relazione al trasferimento delle funzioni dalle province ai comuni interessati.
Anche se il provvedimento precisa al comma 9 dell’art. 17 che l’esercizio delle “funzioni trasferite è subordinato all’effettivo passaggio dei beni e delle risorse finanziarie, umane e strumentali ai comuni, necessarie all’esercizio delle medesime”, non è da escludere che questi trasferimenti di competenze avranno la necessità di onerosi riassetti interni per i comuni, oltre alla perdita delle economie di scala garantite oggi dallo svolgimento delle funzioni in modo accorpato dalla provincia.

Moreno Gentili – Vice direttore Legautonomie